martedì 18 dicembre 2012

Apice


Io una volta ho visto un apice. Dico sul serio, un apice, il punto più alto di un qualcosa e l'ho visto dal vivo, da posizione privilegiata. Si era in quel di Boves, dalle parti di Cuneo, e non chiedetemi la data esatta ché di anni ne sono passati tanti e con gli anni si sa i ricordi si mischiano, ma doveva essere se non ricordo male il 1998. L'aprile del '98 per essere più precisi, perché stavo all'epoca, per gli amanti di Alta Fedeltà, con la terza della lista, e ci recammo assieme a una amica al concerto organizzato dall'associazione partigiana locale per commemorare i tot anni dell'eccidio. Erano anni in cui i giovani erano particolarmente sensibile all'argomento, ora non so, e io non è che fossi poi così giovane, ma la terza della lista certo lo era e comunque in ogni caso ci sarei andato lo stesso, ché sul palco ci sarebbero stati gli Almamegretta e il Consorzio Suonatori Indipendenti, ex CCCP già da un po'. I primi li seguivo fin dal primo album, li avevo già visti un paio di volte dal vivo e li trovavo veramente bravi, ma la vera attesa era per i secondi che l'estate precedente avevano "spaccato" con Tabula Rasa Elettrificata, arrivando in cima alle classifiche nazionali di vendita e alla notorietà, finalmente. Non erano mai stato così seguiti, e mai più lo sarebbero stati, detto col senno di poi.
Arrivammo sul presto al palazzetto, dentro incontrammo altri amici con cui si frequentava un certo locale qua della zona ormai defunto e mai troppo rimpianto, era stata una bella giornata di sole e c'era una bella atmosfera. Non c'era tantissima gente quando arrivammo, per cui eravamo proprio a ridosso del palco, sotto le transenne.
I primi ad esibirsi, dopo i discorsi di circostanza di un paio di partigiani, furono gli Almamegretta che suonarono giusto un paio di brani, manco ricordo quali, per poi, assieme a Ferretti, mettere su una strana versione tra il rock e il dub di Bella Ciao, versione strana davvero, mai più risentita, per fortuna. Non spensero manco le luci, non c'era molta gente ancora, chi c'era sembrava quasi non seguire l'evento: ci si poteva muovere, si beveva, si chiacchierava e tutto era piuttosto rilassato.
Alla fine sul palco salirono gli altri C.S.I..
Noi, l'ho detto, eravamo proprio sotto il palco: avevo Ginevra Di Marco davanti a non più di tre metri, e Ferretti poco distante. Spensero le luci, e seguirono alcuni minuti di silenzio in cui il gruppo sistemava gli strumenti. Dietro ormai si era riempito il parterre, e anche le gradinate erano piuttosto colme, ma non c'era confusione, anzi, era quasi irreale tutto quella gente e tutto quell'improvviso silenzio.
Poi, cominciò, e le prime note che arrivarono erano quelle inconfondibili di A Tratti. La chitarra campionata, i colpi pesanti di batteria, il riff dell'altra chitarra, le tastiere a far da sfondo e poi la voce greve di Ferretti, il tutto nel religioso silenzio e nell'immobilità di chi stava a guardare. Ora, io quel pezzo lo avevo davvero preso a manifesto, qualche anno prima. Se c'era un brano che mi poteva rappresentare era proprio quello, ora me lo stavano suonando a un paio di metri a tutto volume e io ero lì, che me lo godevo, e non tolsi gli occhi dal palco fino a quando cambia ritmo, qualche minuto avanti, e quando il ritmo cambiò mi accorsi che stavo saltando a tempo, e assieme a me saltavano pure la terza della lista e la mia amica, e con noi saltava tutto il parterre, centinaia di persone che contemporaneamente saltavano più in alto che potevano ripetendo "chi c'è c'è, chi non c'è non c'è, chi è stato è stato e chi è stato non è", e si era tutti una massa unica, unita dalla musica che riempiva tutto lo spazio.
Mi fermai, a guardare indietro, e quella massa saltante era veramente bella a vedersi. C'era una energia che veniva su che è difficile descrivere, ma era bella e potente ed era scattata grazie a un po' di note ben piazzate e a un testo di certo sentito. Una alchimia, vera e propria, pure se è banale usare questo termine.
Guardai poi verso il palco, verso Ginevra. La canzone si era appena conclusa con l'urlo "non va", e lei sorrideva guardando noi, stupita quasi, ma col compiacimento di chi ha smosso qualcosa. Incrociò lo sguardo con quello di Ferretti, come a fargli notare che erano stati loro gli artefici di tutto quanto, e pure lui sorrise, ed eccolo lì, l'apice di una carriera, il punto più alto toccato, quello mai più ripetuto dopo quel tour.
Me lo chiedo ogni tanto, se dietro quel sorriso c'era quello che ho visto io.

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